giovedì 9 agosto 2012

Eutanasia: qualità o dignità?



L’Eutanasia oggi è uno fra i temi bioetici maggiormente dibattuti e controversi che abbia allo tempo stesso un risvolto concreto molto evidente e palese e che permetta, e quasi obblighi, a porsi alcuni degli interrogativi cruciali relativi alla nostra esistenza: il senso del soffrire e del morire, il diritto a vivere una vita “qualitativamente” dignitosa e il corrispettivo “dovere” di autoproclamarsi padroni indiscussi della decisione circa la sua cessazione, se e chi possa assumersi la responsabilità di attuare interventi eutanasici, il rapporto medico–paziente nel delicato equilibrio fra libertà individuale e responsabilità collettiva, come porsi dal punto di vista giuridico nello stabilire una giurisdizione che tenga conto di una corretta interpretazione del concetto di accompagnamento che non si riduca né a sentenza anticipata di morte né ad accanimento terapeutico inutilmente protratto; insomma è una problematica così complessa che interessa davvero ogni categoria sociale. Oltre a coinvolgere direttamente il principale protagonista-vittima, i suoi congiunti e l’opinione pubblica, è oggetto di indagine e di autorevoli dichiarazioni anche da tutto il mondo medico-scientifico, da eminenti studiosi di morale, filosofi, teologi, psicologi, sociologi, giuristi, da vari Comitati Etici,  dal Comitato Nazionale di Bioetica, dalla Chiesa Cattolica e altre confessioni cristiane; è una tematica inoltre rilanciata periodicamente da tutti i mass media: giornali, tv, internet alle cui implicazioni almeno esistenziali nessun uomo vivente può sottrarsi.

Per riuscire a comprendere un po’ più a fondo la mentalità che sta dietro questo massiccio diffondersi, a livello mass-mediatico e di opinione pubblica, di una cultura ostile alla vita (tradizionalmente intesa), è utile a nostro avviso focalizzare l’attenzione su quella che si autodefinisce, ai giorni nostri, “bioetica laica” e fare una breve disamina sul suo quadro concettuale di fondo. Innanzitutto è opportuno osservare che il punto di partenza di una siffatta impostazione è un vero e proprio relativismo etico che avendo l’intenzione di rivolgersi agli individui razionali in quanto tali presume di adottare un linguaggio comune neutro che sarebbe valido per tutti; chiaramente la presunta neutralità è solo apparente infatti il riferimento culturale è esplicitamente situato all’interno della tradizione illuministica. Si parte dalla constatazione di un pluralismo etico di fatto (non è più possibile fare riferimento ad un unico orizzonte concettuale dal punto di vista religioso, filosofico, morale) e da questo si deduce impropriamente che sia l’unica situazione assumibile di diritto proponendo al massimo, come alternativa per uscire da questo empasse, un accordo convenzionale di tipo sociale circa i valori ritenuti più elevati. Maurizio Mori, facendo una riflessione su questo pluralismo etico, sostiene in un suo saggio che tutti i contrasti bioetici si possono ridurre ad una contrapposizione i cui due poli catalizzatori sarebbero da un lato quella che egli chiama l’Etica della Qualità della Vita (EQV) fondata su criteri sostanzialmente utilitaristici (massimizzare la felicità intesa edonisticamente e minimizzare la sofferenza degli individui umani considerati come “senzienti”); dall’atro ci sarebbe, come unica alternativa, la così detta Etica della Sacralità della Vita (ESV) basata sulla Sacralità della vita umana e sulla necessità di rispettarne il finalismo propria di una visione religiosa facente capo alla Chiesa Cattolica. A nostro avviso questa dicotomia fra visione laica da un lato e visione cattolico-religiosa dall’altro è capziosamente indebita in quanto anche e proprio da un punto di vista razionale e umano (prescindendo quindi dall’accettazione di una rivelazione soprannaturale) è possibile fare riferimento ad un principio ispiratore di ordine filosofico (il “personalismo” ontologicamente fondato)  e se proprio fosse necessario inventare una “sigla” per individuare questa visione potremmo connotarla come Etica della Dignità Ontologica della Persona.
In questa prospettiva la qualità della vita non solo non verrebbe trascurata ma sarebbe all’interno di una struttura concettuale che le offrirebbe il suo vero fondamento razionale: la dignità della persona; se invece si presume di partire dalla qualità della vita volendo garantirla in nome di se stessa con la convinzione che ci sia una sostanziale equivalenza fra ciò che la natura spontaneamente compie e ciò che l’uomo è in grado di fare per compiacere i propri desideri allora si scardina il fondamento ultimo e si pone come obbiettivo “assoluto” ciò che non lo è (una qualità) senza darne la dovuta ragione. Un’ultima pericolosa distinzione che viene fatta all’interno dell’impostazione laica e che ci è d’obbligo segnalare in un contesto in cui si parla di eutanasia, è quella teorizzata sempre da Mori fra essere umano e persona in modo tale da riconoscere a quest’ultima i diritti di inviolabilità che la nostra cultura non può non attribuirle (come ad esempio il fatto che non possa essere uccisa) mentre si apre il varco alla possibilità di non garantire alcun diritto a quegli individui appartenenti alla natura umana (esseri umani) senza essere persone vere e proprie; anche Engelhardt propone questa pericolosa distinzione della quale ci limitiamo a segnalare come in una prospettiva di questo tipo sia inevitabile, perché profondamente coerente con le premesse da cui si parte, la soppressione di vite umane considerate non personali soprattutto quando si adottano come criteri per stabilire la personalità di un individuo la piena capacità di intendere e di volere per lo più ridotta alla funzionalità di ordine fisiologico del cervello.

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