martedì 14 agosto 2012


Vita da cavie, gli esperimenti
sulla pelle degli animali

Nel bresciano chiude un canile lager ed è polemica sull'industria della vivisezione. Dove gli esperimenti sono in crescita, Perché, dicono alcuni scienziati, non esiste alternativa

di MARGHERITA D'AMICO
"NESSUNO scopo è così alto da giustificare metodi così indegni" disse Albert Einstein. Nel 2006, quasi un secolo dopo, Thomas Hartung, consulente scientifico della Ue e direttore dell'Ecvam (il centro europeo per la convalida dei metodi alternativi), scrive su Nature: "Le prove su animali sono scienza di cattiva qualità. Dalla loro sostituzione dipende la vita di milioni di esseri umani". Eppure ancora oggi, una settimana dopo il sequestro di Green Hill, l'azienda nel Bresciano dove si allevano beagle destinati ai laboratori di vivisezione, la legge internazionale pende nettamente a favore della sperimentazione sugli animali, considerata indispensabile dalle aziende chimico-farmaceutiche e da un'ampia parte del mondo della ricerca.

In Italia e in altri Paesi si dibatte riguardo una direttiva europea (la 63 del 2010) ormai prossima al recepimento. Un provvedimento contestatissimo per aver disatteso le garanzie basilari di tutela delle cavie, e deluso quanti si aspettavano un sostanziale passo in avanti rispetto alla normativa in vigore datata 1992 verso l'obbligo di ricorrere a metodi alternativi alla vivisezione. Lo scontento degli animalisti è forte ovunque, anche da noi. Se negli ultimi anni in Italia si è registrata una lieve inflessione, il 5 per cento circa, e il numero degli esemplari utilizzati negli esperimenti è passato da 2.735.887 nel triennio 2004-2006 a 2.6003.671 fra il 2007 e il 2009, si registra però un notevole incremento delle autorizzazioni in deroga: "Sono il 30 per cento in più nell'ultimo biennio e si tratta degli esperimenti più invasivi e crudeli, eseguiti spesso senza anestesia. Abbiamo ottenuto questi dati da un refrattario ministero della Salute dopo un contenzioso legale" spiega Michela Kuan, responsabile del settore antivisezione della Lav.

"Oltre il 73 per cento degli animali è usato per gli studi biologici di base, ricerca e sviluppo di prodotti e apparecchi per medicina umana e veterinaria. Seguono i test per la produzione e controllo di qualità per prodotti e apparecchi (il 16%) e le indagini tossicologiche, le diagnosi di malattie e la formazione. È pure in aumento l'uso di animali vivi e poi soppressi a fini didattici. Da noi gli stabulari sono circa seicento, difficile fare una valutazione del numero degli allevamenti perché molti laboratori producono cavie anche in proprio, parecchie già geneticamente modificate".

"Consideriamo gli animali una spesa, un soggetto geneticamente modificato è difficile da ottenere e può costare fino a 5 mila euro. La sperimentazione su di loro copre il 30 per cento delle nostre attività, il rimanente 70% avviene in vitro e ritengo che questa proporzione valga più o meno per tutta l'attività nazionale" dice Giuseppe Remuzzi, coordinatore della ricerca dell'istituto Mario Negri di Bergamo. "Ci serviamo solo di topi e ratti: per il totale delle nostre tre sedi nel 1990 ne contavamo 33.832. Dieci anni dopo sono diventati 22.362 e, nel 2010, 16.485. Ma non siamo certo gli unici a usarli. Quanti politici ci dicono di essere favorevoli alla vivisezione, ma per ottenere consensi dichiarano il contrario". Anche all'Ifom, area di ricerca sperimentale legata all'Istituto europeo di oncologia di Umberto Veronesi, da sempre schierato in difesa dei diritti degli animali, si fa vivisezione. "Secondo il ministero, gli stabulari italiani accolgono 550 mila topi, mille cani nel 2007 e 600 nel 2009, 3.500 maiali nel 2007 e 2.500 nel 2009, 30 mila pesci ora dimezzati: si usano gli zebra fish, facili da manipolare geneticamente" continua Remuzzi. Che, quanto alle novità in arrivo dall'Europa, dice: "Certe contestazioni non le capisco: la sperimentazione sui randagi che dovrebbe essere introdotta non si pratica in alcuno stabulario del mondo".

Ribatte Vanna Brocca, direttore della Voce dei senza voce, periodico dell'associazione Leal: "Negli Usa i randagi si usano, eccome. Sono commercializzati dai Class B Dealers previsti dall'Animal
Welfare Act, che operano con regolare licenza. In Italia per fortuna lo proibisce la legge 281 del 1991. Io però mi domando: se i laboratori dicono di non avere bisogno dei randagi, perché l'articolo 11 della direttiva è tutto dedicato alla possibilità di sottoporre cani e gatti randagi a test in caso di "minacce per l'ambiente o per la salute umana o la salute animale?". L'obiezione alla vivisezione non si fonda solo sulle sevizie  -  maiali cui vengono lesionati i polmoni per effettuare lunghe respirazioni assistite prima di sopprimerli, impianti dentari inseriti sulle zampe dei conigli, cani cui sono strappati i denti, topi dalle zampe bruciate su piastre elettriche sono alcune delle pratiche descritte da un interessante dossier realizzato da Nemesi Animale riguardo gli stabulari lombardi  -  quanto anche sulla loro pericolosa inutilità.

Le stime dell'Ufficio dei consumatori Ue (Beuc) riferiscono di 197 mila cittadini morti ogni anno a causa degli effetti indesiderati dei farmaci, mentre in Italia il numero di reazioni avverse ai soli antibiotici sarebbe pari a 1643, contro le 1303 del 2008. Tuttavia i metodi alternativi come test in vitro, colture cellulari capaci di ricostruire organi di origine umana, metodi bio informatici che creano interazioni di molecole al computer o le investigazioni epidemiologiche, stentano a prendere piede perché non supportati dalla legislazione. "C'è uno spreco straordinario di tessuto umano che sarebbe invece preziosissimo per la ricerca" osserva Michela Kuan. "Invece di allevare e uccidere animali, si potrebbero utilizzare organi asportati o amputati, cordoni ombelicali che vengono buttati via e non si recuperano se non previa burocrazia assurda".

"Test gratuitamente crudeli? Io non ne ho mai autorizzati" afferma Rodolfo Lorenzini, direttore del Servizio biologico e per la gestione della sperimentazione animale per l'Istituto Superiore di Sanità, che suggerisce: "Si potrebbe destinare parte dei fondi a studi che non prevedono l'uso degli animali. Sarebbe un'apertura importante". Mentre il medico e senatore Pd Ignazio Marino dice: "L'industria farmaceutica ha in Italia un fatturato di 25 miliardi di euro e il 10% è reinvestito nella ricerca: se le aziende non vedono la possibilità di operare secondo le regole internazionali, si tirano indietro". Ma si tratta di vero progresso o piuttosto di un favore all'industria sulla pelle degli innocenti? "I vivisettori utilizzano il cosiddetto esperimento 'DL 50': la Dose Letale per il 50% degli animali utilizzati. Consiste nell'alimentare a forza un gruppo di animali con una particolare sostanza finché non ne muore la metà. Se consideriamo per esempio la digitossina (farmaco per l'insufficienza cardiaca), questa sostanza presenta nei ratti una 'DL 50' 670 volte superiore rispetto ai gatti: come possiamo sapere quale valore possa avere un significato per l'uomo?" ricorda il biologo Gianni Tamino. "Si autorizzano esperimenti assurdi: per esempio, portare ratti allo sfinimento su una ruota velocissima per poi farli cadere allo stremo delle forze in una botola dove vengono decapitati: di lì si esaminano i fenomeni di deterioramento dei tessuti. Il tutto per uno studio sugli sportivi" spiega Marco Mamone Capria, docente di Matematica all'università di Perugia e presidente della Fondazione Hans Ruesch (dal nome dell'autore di Imperatrice nuda, testo cardine del movimento antivivisezionista in Italia). "La legge del 1993 sull'obiezione di coscienza alla vivisezione - aggiunge - è sistematicamente boicottata dalle università italiane. Si continua a impedire che gli studenti siano informati come previsto dalla legge che permette loro di sottrarsi nei loro percorsi formativi ". E poi: "Altro che trasparenza nei laboratori. Per sei anni sono stato membro del Comitato etico del mio ateneo e ho chiesto di entrare nello stabulario universitario: impossibile". Già: gli organi preposti al controllo del benessere animale negli stabulari sono le Asl, ma la legge non le obbliga ai controlli.

Osserva Fabrizia Pratesi, coordinatrice del comitato scientifico Equivita: "Le statistiche stesse indicano in modo vistoso che ciò che vale per una specie non è indicativo per un'altra, e le coincidenze favorevoli non esonerano comunque dalla sperimentazione sulla cavia umana. Per tacere di contraddizioni clamorose: le multinazionali chimiche non producono solo farmaci, ma pure pesticidi, diserbanti, ogm, anticrittogamici. Tutti prodotti testati sugli animali. Peccato che quando si verifica qualche disastro con ricadute sulla salute umana, le aziende si sottraggono alle loro responsabilità dicendo che che i test sugli animali hanno scarsa attendibilità".
(24 luglio 2012)

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