mercoledì 6 giugno 2012

Un’alternativa equilibrata alla vita o morte programmata nel rispetto del benessere del malato terminale: la nuova frontiera delle cure palliative


Occuparsi in maniera attiva, energica e sotto ogni aspetto del benessere del malato terminale, ecco cosa significa cura palliativa.
La frontiera delle cure palliative costituisce un recente spiraglio di sollievo per chi, come un malato terminale, non può che essere “perso”, mentalmente e fisicamente durante la malattia.
La cura palliativa deve essere messa in atto quando non esiste più un trattamento medico capace di ottenere risposta positiva nella cura di una malattia, ad oggi essenzialmente cancro nella maggioranza dei casi, oppure malattie degenerative di vario tipo.
Fu Cicely Saunders , infermiera, medico e scrittrice di spicco di questo secolo a sottolineare l’importanza delle cure palliative nella medicina moderna, assistendo i malati terminali con cure analgesiche, terapie domiciliari, cura negli Hospices ( strutture specificamente pensate per il benessere del malato e della sua famiglia ) fino alla loro morte cercando di assicurare il maggior benessere possibile.

Delineare specificatamente il significato di cura palliativa è abbastanza complesso; la definizione di data dall’OMS nel 1990, indica tale cura come: “La cura attiva, totale dei pazienti la cui malattia non risponde più ai trattamenti curativi. Il controllo del dolore, di altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali è di fondamentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento delle migliore qualità di vita per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni aspetti delle cure palliative sono applicabili anche più precocemente nel decorso della malattia, in aggiunta al trattamento oncologico”.

La cura palliativa è innovativa perché considera la morte un evento assolutamente naturale, così come lo è la vita stessa: non cerca di allungare o abbreviare, magari inutilmente, la vita del malato, si occupa invece di supportare il malato, cercando di ri-trasformarlo più in “persona” che “condannato”, cercando di fornire oltre che supporto farmacologico e medico contro il dolore, un importante aiuto spirituale e cercando altresì di coinvolgere e curare, in un certo senso, la famiglia del malato stesso. L’accompagnamento del percorso della famiglia comprende addirittura il supporto durante il lutto, aspetto non da poco.

Ponendo un’ attenta riflessione sul concetto di cura palliativa dato si possono ritrovare alcuni punti fondamentali:
·      La vita attiva del malato è messa in primo piano. La cura del dolore, la ricerca di un sollievo, ed il ritrovamento di un senso spirituale e della dignità della persona sono messi in primo piano. Le cure di questo tipo non devono essere messe in sottofondo ed essere considerate un ripiego, oppure un supporto ma essere dei trattamenti attivi.
·      Lo scopo principale in questi casi non è più combattere la malattia, ormai incurabile, ma ottenere la migliore qualità di vita per il paziente e per la sua famiglia; anche questa indicazione viene fatta in opposizione a qualcosa (essenzialmente: il prolungamento della vita). Naturalmente uno degli scopi della medicina è la salvaguardia della qualità della vita.
·      La terapia curativa cambia essenzialmente il suo soggetto: non più la malattia è al centro della cura ma, bensì la persona. Di conseguenza, la malattia non deve essere più considerata come un fatto patologico isolato, ma deve essere considerata nei termini di sofferenza globale che essa stessa determina. La sofferenza globale è intesa come problemi nelle relazioni, perdita di un senso della propria vita, ansia e depressione oltre che dolori fisici.
·      Le idee di base di queste cure non si scontrano con i principi cardine della medicina: così come affermavano i Latini “Sanare infirmos, sedare dolore”,  è dunque necessario ridare salute ai malati e curare le sofferenze.

Uno dei concetti centrali è la ridefinizione della morte come un evento necessariamente presente nella natura. Le cure palliative non anticipano la morte così come fa l’eutanasia e non l’allungano così come fa l’accanimento terapeutico ma mirano al benessere della vita rimanente del malato terminale. Senz’altro un’ampia fonte di riflessione e di domande ma, soprattutto un’importante prospettiva nella cura totale del paziente terminale.

Allego alcuni “ritagli” delle linee guida sulla realizzazione delle attività assistenziali concernenti le cure palliative, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 110 del 14/05/01 come fonte possibile di riflessione e dibattito:

Le cure palliative si caratterizzano per:
• la globalità dell'intervento terapeutico ...

• la valorizzazione delle risorse del paziente e della sua famiglia ...;

• la molteplicità delle figure professionali e non professionali che sono coinvolte nel piano di cura;

• il pieno rispetto della autonomia e dei valori della persona malata;

• il pieno inserimento ... nella rete dei servizi sanitari e sociali;

• l'intensità dell'assistenza globale che deve essere in grado di dare risposte specifiche, tempestive, efficaci ed adeguate ...;

• la continuità delle cure fino all'ultimo istante di vita;

• la qualità delle prestazioni erogate."

2 commenti:

  1. Penso che le cure palliative aprano un orizzonte molto vasto per il miglioramento della QUALITà della vita. Tuttavia anche per l'utilizzo di questi farmaci è necessario, secondo me, rispettare la volontà del paziente e non prendere decisoni troppo affrettate. E' corretto salvaguardare il consenso informato e lasciar scegliere direttamente al diretto interessato. Per quanto mi riguarda, sarei molto più propensa a fare ricorso alle cure palliative piuttosto che interrompere la vita praticando l'eutanasia.

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  2. Condivido anche io il tuo parere, anche se penso che bisogna rendere il più armonioso possibile il tempo del paziente terminale; dunque l'uso di analgesici è mirato unicamente al benessere del paziente e non penso che qualcuno possa voler i dolori e le sofferenze della malattia se non in caso di una estrema rassegnazione alla malattia stessa. In questo caso, l'armonia è intesa anche come armonia spirituale: quindi anche la rassegnazione alla ragione, dunque un eventuale rifiuto delle cure analgesiche da parte del paziente, deve essere motivata, spiegata e magari risolta nella cura dei dolori, naturalmente salvaguardando sempre i diritti della persona.

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