giovedì 24 maggio 2012

Clonazione riproduttiva e terapeutica e manipolazione del genoma

Uno dei temi bioetici che ha avuto un'eco più grande sulla sensibilità collettiva è indubbiamente quello della clonazione. Nell'immaginario comune, si continua ad abbinare questa parola all'idea di una fredda società costituita da "individui" identici (se si può ancora parlare di un concetto di individualità inteso come "unicità"), ed è ancora oggi lo spunto principale di innumerevoli film di fantascienza (prospettiva ipotizzata in maniera inquietante, relativamente ad un futuro non troppo lontano, ne "Il mondo nuovo" di Huxley).
Senza arrivare a tali estremi, anche la semplice idea di giungere ad un elevato livello di comprensione del genoma umano, al punto da poterlo manipolare a piacimento, o quasi, ha implicazioni etiche notevoli. 



L'essere riusciti, nel 1997, a creare la pecora Dolly, il primo vero e proprio successo in tale ambito, ha suscitato notevoli polemiche. E' entrato in gioco ancora una volta il fattore dell'imprevisto, del "cigno nero", in quanto non si era prevista l'incidenza del DNA mitocondriale, il quale ha prodotto, secondo meccanismi non ancora ben noti, un individuo geneticamente differente dal donatore del nucleo. In più, i detrattori della clonazione hanno più volte sottolineato come gli animali clonati (e non solo Dolly) nascano "geneticamente più vecchi" di un cucciolo generato normalmente, e pertanto vadano incontro a morte precoce e siano anche più esposti a numerose patologie, mettendo un accento su come in realtà tali processi abbiano una complessità ben maggiore di quanto ipotizzato.

Pare che negli Stati Uniti sia anche possibile, per "poche decine di migliaia di dollari", far clonare il proprio animale domestico dopo la morte, per possederne uno "uguale". Pratica, a mio avviso, che non costituisce altro che un'illusione della vittoria sulla morte, un modo solo apparente per lenire il dolore dalla perdita, in quanto appunto il "surrogato" non sarà mai identico al cane o al gatto originale, al più "simile". Così come anche più volte si è parlato di "clonare" grandi menti della storia, quali Einstein, Da Vinci o Galilei, per potersi avvalere di persone dotate della loro genialità anche nella società moderna.



Sono ipotesi più che fantasiose.
Il nostro fenotipo infatti non dipende soltanto dal genotipo, ma anche dalle uniche e irripetibili interazioni fra geni e ambiente (come prova il caso dei gemelli monozigotici, che possiedono lo stesso genotipo, ma se cresciuti in ambienti differenti possono sviluppare caratteristiche diverse rispetto al loro programma genetico). La psiche stessa di un individuo non è altro che il risultato di un complesso processo di crescita e dell'insieme delle proprie interazioni sociali ed esperienze, ed è determinata solo in parte geneticamente. Possedere il DNA di Einstein, ad esempio, non ci renderà automaticamente geniali, al più ci darà una maggiore predisposizione ad alcune discipline. 
L'idea di produrre individui identici in tutto e per tutto, persino nel modo di pensare, nei gusti e nelle attitudini, è dunque, almeno allo stato attuale, irrealizzabile, essendo troppo numerose le variabili in gioco, ed è a mio avviso solo un'estremizzazione delle conseguenze della clonazione e comunque molto discutibile dal punto di vista etico.

La variabilità genetica, quell'imprevedibile ricombinazione del genoma paterno e materno che si produce all'atto della meiosi durante la produzione dei gameti, è alla base della vita e la chiave vincente dell'evoluzione. Se tale variabilità non esistesse, il concetto stesso di "evoluzione" non avrebbe senso, saremmo ancora organismi unicellulari e la biodiversità non sarebbe possibile. La diversità, appunto, l'esistenza di uno specifico gene in due o più alleli anziché una singola forma è da considerare come una ricchezza e non come un difetto.
Non va tuttavia dimenticato che gli organismi più elementari si riproducono comunque senza la ricombinazione dei genomi (se non a causa di mutazioni fortuite) e che alcuni (quali le piante) hanno persino più possibilità, anche se la modalità di riproduzione sessuata è comunque quella preferenziale. 

Viene da chiedersi, appunto, in che misura l'uomo possa sostituirsi ai processi naturali (dei quali magari non ha ancora una comprensione a tutto tondo) e quali possano essere le implicazioni etiche di tutto ciò. Avere il potere di esercitare un controllo di tale entità non solo sul genoma di individui "da creare", da "produrre" letteralmente in provetta per rispondere ad un fantomatico "ideale di perfezione", ma anche eventualmente su individui adulti, quali conseguenze etiche può comportare?

L'articolo 14 del Codice Deontologico del Biotecnologo si riferisce alle terapie geniche. Gli interventi sull'embrione finalizzati alla selezione di caratteristiche genetiche e fenotipiche specifiche (non correlate allo sviluppo di patologie o alla predisposizione di esse) costituiscono delle gravi violazioni di tale principio. 

Un esempio sono stati gli studi di eugenetica compiuti in epoca nazista, volti alla "costruzione" e alla "selezione dei caratteri" della nuova, perfetta, "razza ariana". Studi, che, per fortuna, sono oggi considerati illegali in tutto il mondo e fortemente condannati da ogni comitato etico. 


Personalmente, sono favorevole soltanto alla cosiddetta "clonazione terapeutica", vale a dire alla creazione di tessuti specifici tramite l'utilizzo di cellule totipotenti, ancora indifferenziate, a patto tuttavia che si riesca a ricavarle dai tessuti di un individuo adulto e non da embrioni soprannumerari creati"ad hoc" e crioconservati appositamente per tale scopo, pratica che ritengo inaccettabile e contro qualsiasi valore etico. Ha davvero senso creare una vita "generata in provetta" per salvarne un'altra? Questo tipo di clonazione sarebbe un grande aiuto per tutti coloro che soffrono di patologie gravi, anche se molto spesso è anch'essa fortemente criticata sia perché assimilata, dai suoi detrattori, a quella "riproduttiva" (usata per la generazione di nuovi individui, come nel caso della pecora Dolly), sia perché sperimentata tramite le stesse metodologie di quella riproduttiva.

Secondo la posizione confessionale, assunta dai credenti, la clonazione e l'uso di terapie genomiche violerebbe il diritto ad ereditare una costituzione genetica non alterata, andando contro i principi stessi di ereditarietà e l'ordine naturale delle cose. Tuttavia, sottolineo ancora una volta come questi interventi potrebbero essere di grande aiuto nel garantire la nascita di individui non affetti da specifiche patologie di cui i genitori sono portatori. Anche le cosiddette terapie epigenetiche, ossia mirate alla regolazione dell'espressione genica, costituiscono spesso l'unica speranza per gravi difetti metabolici che altrimenti porterebbero alla morte, e consentono a chi ne è affetto un notevole miglioramento della qualità della vita.
Sono favorevole allo sfruttamento di tali potenzialità, a patto di rispettare comunque ogni forma di vita, ma solo per scopo terapeutico o la cura di malattie gravi, settore tuttavia ancora oggetto di numerosi studi ma che costituisce una speranza non indifferente per gli anni a venire.

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