di Gabriella Fogli
Chi
scrive è una persona affetta da patologia rara con complicanze ancora
più rare che nel giro di cinque anni ha visto trasformarsi completamente
la propria vita. Ora sono incapace di camminare da sola ed ho la
necessità di utilizzare la sedia a rotelle, ho bisogno di assistenza per
lavarmi, vestirmi, sono incapace di preparare un pasto, assumo 16 tipi
di farmaci diversi al giorno, ho bisogno dell’ossigeno per respirare
ecc. ecc. ecc. Vi dico questo solo per entrare nell’argomento che mi sta
molto a cuore, in modo che possiate comprendere che chi scrive sa bene
di cosa parla in quanto lo vive ogni giorno sulla propria pelle e non
per sentito dire.
L’argomento in questione è la differenza che esiste tra “CURARE” e “PRENDERSI CURA” del malato.
A prima vista si possono confondere i
due termini, ma in realtà vi è una differenza sostanziale che implica la
partecipazione emotiva dell’ammalato con ripercussioni negative o
positive a seconda del trattamento che riceve.
Tutti i malati rari sanno cosa significa
vagare da un ospedale all’altro alla ricerca di una “cura” che possa
farli star meglio e quanti di noi hanno incrociato medici che conoscono
poco o nulla le patologie, ma che tuttavia emettono sentenze (vedi i
medici delle varie commissioni per l’handicap). Medici che non “ti
ascoltano”, che ti parlano senza guardarti in viso, chini sul foglio che
hanno davanti, come se la persona presente non è un essere umano con la
propria dignità. Medici che non danno importanza ai sintomi che
descrivi, che non capiscono che cosa stai dicendo perché, come detto
prima “non ascoltano”. Inoltre, o vai a pagamento, e non tutti possono
permetterselo, oppure, in molti centri, non sei seguito sempre dallo
stesso medico, dipende da chi in quel momento è di turno in ambulatorio,
così passi da una mano all’altra, a me è capitato, nello stesso
ambulatorio, di avere due medici diversi che hanno emesso due diagnosi
diverse con relative cure, che ovviamente differivano.
Tutto questo però mi è servito, ha
sviluppato la mia reazione, ho studiato la malattia ed ho iniziato a
commentare, ed a volte a mettere in discussione, quanto mi veniva detto.
Il
malato cronico ha bisogno di poter contare sempre sulla stessa persona,
sullo stesso medico, che “prende in cura” l’ammalato nella sua
totalità, che quando la malattia attacca un organo che prevede
l’intervento di altri specialisti, si preoccupa di parlare con loro per
renderli partecipi della situazione generale, è il tuo punto di
riferimento, reperibile quando sorgono complicanze o si hanno attacchi
particolarmente forti della malattia. Questo “prendersi in cura” fa la
differenza. E tu devi poterti fidare di questo medico, stabilire un
rapporto umano, ricevere un sorriso ed anche un rimprovero
all’occorrenza. Insomma, si deve stabilire un rapporto di fiducia, un
rapporto “umano”, e questo fa si che “la cura” sia efficace, perché non
c’è cura senza cuore. Lo stesso discorso vale per i famigliari che ci
assistono. All’inizio, sempre per esperienza personale, era difficile
per loro comprendere che cosa sentivo, “apparentemente” tutte era come
prima, ma il dolore alle mani era molto forte, così come quello alle
gambe, specialmente al mattino, quando alzarsi dal letto significava, e
significa, un dolore enorme, sentirsi tutta bloccata.
Vedendomi “normale” nessuno si faceva
carico di una parte di lavoro in più e dentro di me albergava la
delusione perché non comprendevo come mai non riuscissero a capire che
qualcosa stava inesorabilmente cambiando, che dentro di me serpeggiava
la paura, e non ne parlavo con loro per non angustiarli. Ogni volta che
portavo il dialogo sulla malattia cambiavano discorso e parlavano
d’altro, non mi davano proprio la possibilità di esprimere i miei dubbi,
le angosce segrete. Questo, psicologicamente, è stato un periodo molto
duro perché dentro aumentava l’intolleranza a tutto, ero insofferente,
piangevo da sola, ecc. ecc. Poi ho compreso. Non è stato facile, per
nessuno di noi. Abbiamo dovuto inventarci un nuovo modo di convivere,
stravolgere equilibri consolidati dal tempo, ma finalmente avevo capito
che, anche se malata, sono ancora donna, moglie, mamma, nonna ecc. ecc.
Ho convocato una riunione di famiglia in cui ho comunicato a tutti come
mi sentivo e cosa provavo e, per la prima volta in vita mia, ho
“DOMANDATO AIUTO”. Mi pareva così difficile, e invece, con umiltà, ho
spiegato le mie difficoltà e la loro risposta è stata immediata. Hanno
iniziato anche loro a confidare la paura che avevano di perdermi, non mi
lasciavano parlare pensando che fosse meglio distrarmi senza sospettare
che invece interpretavo come indifferenza il loro modo di agire. Anche
loro hanno iniziato a “prendersi cura” di me, con amore, hanno imparato a
prendersi cura della casa, a cucinare, a lavare e stirare. Ora abbiamo
una “assistente personale” che si “prende cura” di me e della casa
quando loro fuori.
Anche la cura più efficace ha bisogno di
Amore. Tutti noi abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Ogni nostro
atto deve diventare un atto d’Amore, anche il più semplice od umile.
L’unica cosa che sono, per ora, in grado
di fare, è lavorare al p.c. e dedico questo tempo a parlare di
patologie per far conoscere alla gente malattie che nemmeno sospettano
che possano esistere. Quando si conosce, cessa la paura, si com-prende,
cioè si prende in sè, si com-prende anche la sofferenza in cui versano
queste persone e le loro famiglie, si com-prendono i diritti, le
richieste ed anche la rabbia che a volte assale quando le Istituzioni
preposte ignorato i diritti essenziali all’assistenza, all’indipendenza,
all’aiuto, al sostegno, alla ricerca.
Il malato deve essere curato ed anche
preso in cura, sia dal medico che dalla famiglia. La differenza vera è
quel “prendersi cura”, prendersi cura di un amico, di un animale, di un
famigliare, di uno sconosciuto, anche se ha la pelle di colore diverso
dalla tua. La differenza vera è che nel “prendersi cura” ci mettiamo
Amore, perché l’Amore è ciò che ci fa vivere, l’Amore per ogni creatura,
perché ogni creatura è una creatura di Dio.
http://www.lavocedelmarinaio.com/2010/03/la-differenza-tra-%E2%80%9Ccurare%E2%80%9D-e-%E2%80%9Cprendersi-cura%E2%80%9D-del-malato/
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