martedì 22 maggio 2012

Salve ragazzi..=)..ho trovato 1 pò di materiale (messo insieme barbaramente da me, chiedo scusa per qst =(, ma al solo scopo di smaltire la mole di informazioni correlate a qst argomenti ) riguardante il libro assegnatoci dal prof "Il Mondo Nuovo "di Huxley...in particolar modo approfondisce alcuni aspetti trattati nel saggio Ritorno al Mondo Nuovo: propaganda e lavaggio dei cervelli..ecco il materiale..è parecchio ma può essere 1ottimo spunto credo per ulteriori riflessioni =)

PROPAGANDA

In senso etimologico la parola propaganda contiene una marca semantica legata all’obbligo di diffondere. La necessità di radicare idee e di gestire menti nasce col Potere: come scrive lo storico Philip M. Taylor, prima dello scoppio della Grande Guerra il termine propaganda designava i mezzi utilizzati dal Papato, nel XVI secolo, per riportare i riformati alla Chiesa di Roma. Prima del 1914, la propaganda era semplicemente il modo con cui chi aderiva ad un’ideologia politica o ad una dottrina religiosa tentava di convincere il dissidente. Ogni azione propagandistica era mimetizzata nelle pieghe del potere religioso, come nelle più antiche società teocratiche, o nel culto di un despota carismatico. Nel corso della storia la vena si ingrossa: le profonde trasformazioni economiche, politiche, sociali e psicologiche, susseguitesi sul finire del XIX sec., richiedono un mutamento anche nelle modalità di attivazione del consenso dovuto a trasformazioni radicali, come la fine delle monarchie per diritto divino, che porta la collettività alla ribalta se non come protagonista almeno come interlocutore del polo di potere e l’allargamento del suffragio in tutti i paesi democratici. A queste contingenze politico/sociali si accompagna l’affermazione definitiva del sistema capitalistico, che impone un’organizzazione economica il cui motore è la massa dei consumatori. Su questo sfondo l’entrata in scena dei fascismi tra gli anni 20 e 30 del 900 comporta la necessità, per l’esistenza stessa di questi regimi, di considerare l’incombenza del soggetto/massa che organizza lo spazio e gestisce il movimento con il suo peso fisico, il suo essere producer of speed. Le masse  non sono una popolazione, una società, ma una moltitudine di passanti che in perenne movimento nelle strade diventano essi stessi motore e macchina, in altre parole, produttori di velocità. Il linguaggio per le nuove masse del XX secolo deve essere, allora, moderno, metropolitano, perché la metropoli è la prima dimora umana ad essere penetrata dai canali di comunicazione rapida. In questa prospettiva i canali di comunicazione rapida acquistano valore inestimabile per i fascismi. Hitler è ossessionato dal rapporto con la popolazione tedesca: nei suoi discorsi la voluttà del numero zampillante si fa clamorosa, egli ritiene che il modo più efficace per eccitare e conquistare il favore di una massa sia offrirle il miraggio della sua crescita: finché la massa mira al proprio accrescimento non ha occasione di disgregarsi. Sostiene Goebbels, capo del Ministero per la Propaganda nazista: chiunque conquista le strade conquista anche lo Stato. E proprio per azzerare le capacità riflessive delle masse ed evitare la compromissione della loro efficienza dinamica che egli impronta la sua strategia propagandistica all’insegna della prassi, esaltando il valore delle parole e delle immagini e promuovendo la diffusione degli audiovisivi nella Germania nazista. Goebbels è un comunicatore capace di cogliere il segno dei tempi: è questa straordinaria inclinazione a costruire l’intelaiatura del consenso insinuatosi fin nelle fondamenta della società tedesca, garanzia del successo della macchina gerarchica nazionalsocialista. Il programma formativo dei nazionalsocialisti si pone soprattutto l’obiettivo di contrapporre all’elemento bolscevico/cosmopolita/ebreo quello tedesco/nazionale, per creare un’identità fondata sulle differenze dei tedeschi rispetto agli altri popoli. Perfettamente in linea con le esigenze della nuova società tecnocratica, Goebbels sceglie di usare il mezzo cinematografico, oltre a tutti i canali di comunicazione rapida, come sistema di coercizione subordinato a politica ed economia. Piegando nella direzione voluta i prodotti dell’industria cinematografica lo stato nazista foggia i suoi più utili servitori: al cinema spetta il compito di coltivare lo spirito tedesco e la mentalità tedesca e di trovare le giuste vie politiche, culturali ed economiche e incamminarvisi: Goebbels intuisce la possibilità di strumentalizzazione del mezzo cinematografico come veicolo di propaganda e mezzo di persuasione, oltre che come agente del rinnovamento della società tedesca. In modo analogo Goebbels ritiene che le idee siano nelle nuvole: quando qualcuno riesce a mettere in parole ciò che ognuno sente nel proprio cuore allora la singola idea diventa la visione del mondo dello Stato e l’individuo eletto può trasmettere la sua forza intellettuale e servirsene per formare la sua comunità e trasformarla in un movimento, che organizzato può infine conquistare lo Stato. Massiccio diviene così anche l’impiego del cinema d’animazione come mezzo di persuasione. Il cinema d’animazione riveste un ruolo non trascurabile, per la sua capacità di coniugare la concretezza del messaggio politico con l’innovazione estetico/linguistica. Duplice è la natura dello stesso cartone animato: ha un piede nel passato e un piede nel futuro. Raccoglie, infatti, la vastissima eredità folkloristica delle fiabe romantiche, ma contemporaneamente, per esistere, ha bisogno della tecnologia moderna. É un evento visivo straordinariamente attraente che investe su diversi fronti: da un lato fa leva sull’universo infantile per i suoi legami con la fiaba, dall’altro seduce con la voluttà del disegno in movimento; la possibilità, in mani umane, di creare un mondo di sogni dove tutto può accadere. La forza di tali potenzialità viene ben presto compresa e il Cartone Animato, ancor più del cinema dal vero, diviene campo di elezione per la variazione di meccanismi percettivi, nonché del loro controllo da parte di sistemi di potere autoritari che ne fanno veicolo di ideologia. Il ruolo del cartone animato nella costruzione del regime e della gerarchia del Nazionalsocialismo diviene essenziale. In generale, durante il secondo confitto tutte le principali nazioni si servono dell’animazione come mezzo di propaganda: gli Americani realizzano quasi 300 cartoons, costituendo il corpus più consistente ed analizzato del periodo. Se pure hanno un’attenzione privilegiata per un pubblico infantile e semi-adolescenziale, non arrivano mai a livelli di trasmissione elementari, anzi. Le opere sono fortemente pregne di connotazioni politiche, in costante rapporto dialettico con il piano amministrativo nazista e niente affatto escluse dai procedimenti linguistici utilizzati nei film dal vero per adulti.
   

TOTALITARISMO
     
 La figura di Hitler è enigmatica: il suo corpo di per sé non indica un ‘idea di forza, sarebbe molto più adatto ad abiti borghesi, piuttosto che alla divisa militare che era solito portare. Chi lo conobbe  fu attratto soprattutto dai suoi occhi, unico tratto energico del suo corpo: di ghiaccio, penetranti, rossi di sangue ai contorni, segno distintivo di chi nella Grande guerra venne a contatto con i gas tossici…

       L’arte di Hitler non consisteva nell’attrarre la massa con azioni di forza e spregiudicate: il suo scopo era quello di edificare con prudenza e meticolosità il proprio consenso, rendendolo più stabile per il futuro . In effetti, da solo, Hitler non sarebbe riuscito in nulla: la sua forza era il popolo tedesco. Il dittatore si sentiva, erroneamente, in completa simbiosi con il suo popolo, ne ascoltava l’intimo dramma e le paure, ne percepiva i bisogni di grandezza e di realizzazione.

       Il consenso delle masse deve farci riflettere anche sull’oratoria di Hitler, parte integrante del culto nazista. Durante i suoi lunghissimi discorsi, Hitler prendeva diverse pause studiate per rendere ammaliante il tutto, quasi un oblio che mutava in isterismo, quando alzava repentinamente il tono di voce in un crescendo che diventava un invasamento collettivo. La folla reagiva emotivamente al suono della cavalcata hitleriana; la massa viveva il discorso piuttosto che analizzarne il contenuto.

       Hitler si sentiva designato dal destino a ricondurre il popolo tedesco sulle tracce di una civiltà barbara e primitiva ormai passata, riconquistando un’antica virtù che la modernità aveva distrutto. Da qui il bisogno che sfociò in un esoterismo diffuso di staccarsi dal materialismo moderno.

       Il regime organizzò segretamente spedizioni di ricerca in tutti i Paesi del mondo al fine di rintracciare prove di una fantomatica civiltà scomparsa, i cui antenati si sarebbero rifugiati nelle profondità della terra, oppure al fine di ritrovare il santo Graal, fonte divina di potere. I vertici delle SS si riunivano in sedute mistiche presso il castello di Wewelsburg, dove venivano consumati rituali d’iniziazione, strane invocazioni ai martiri del nazismo. Infatti, riprendendo la leggenda di re Artù e dei dodici cavalieri della tavola rotonda, i nazisti costituirono un ordine dei cavalieri neri con dodici capi delle SS che si riunivano intorno a una tavola di quercia rotonda. I simboli utilizzati dal nazismo, la svastica, le rune germaniche, ebbero determinanti effetti psicologici sul popolo, poiché ispiravano insieme la volontà di annientamento e il ricordo di un passato lontano.

       L’uso propagandistico delle rune riflette lo sforzo compiuto dall’antropologia tedesca di ricostruire una presunta eredità spirituale ancestrale e spirituale. Adoperate come simbolo di un’antica unità culturale e politica tedesca anche nelle antiche civiltà del nord Europa, esprimevano un atteggiamento positivo di fronte alla vita e alla natura, ma nell’interpretazione arbitraria nazista le lettere dell’antico alfabeto sacro divennero immagini di distruzione e di odio.

       Il regime nazista fu il primo ad assegnare alla propaganda un apposito ministero, sotto la direzione di Joseph Goebbels. La stampa, la radio, il cinema, divennero il mezzo attraverso il quale venne diffusa ed enfatizzata l’ideologia nazista. L’influenza dei media fu determinante nella creazione di un mondo ideale e di un’etica ariana. Essi furono il principale strumento con cui il nazismo veicolò le proprie idee: contribuirono a costruire un nuovo universo in visione manichea, diviso in bene (gli ariani e i loro alleati), e male (gli ebrei e tutte le altre “razze parassitarie”).

       Il popolo era sublime scenografia, tutto era abilmente studiato da Goebbels per creare un effetto scenico diretto: luci, suoni, fiamme, bandiere, ogni elemento contribuiva a far sentire tutti i presenti partecipi, uniti in una comunità di popolo.

       Nessun uomo, nessuna società, nessuno Stato, avrebbero potuto provocare l’orrore nazista se non ispirati dalla follia: è l’unica giustificazione che la nostra mente ci suggerisce; ma non è stata follia ed Hitler non era folle.  Farebbe scandalo  definire Hitler una persona normale e lucida; ma come avrebbe potuto una mente malata risollevare l’economia tedesca? Come si spiegherebbe il rapidissimo riarmo o l’accortissima e astuta politica estera? Come si giustificherebbe la chiara adesione al regime della quasi totalità del popolo tedesco? Con una follia generale di milioni di persone? No, la normalità, per quanto agghiacciante, è il presupposto del male nazista.

       Il nazismo fu molto più di un totalitarismo politico, fu una religione che accecò un popolo, una religione che faceva della distruzione di Sion e dei suoi figli il suo dogma centrale, una religione che propugnava la creazione di un impero tecno-teocratico millenario con a capo la Germania.

       Se i Tedeschi non si ribellarono e appoggiarono fino all’ultimo Hitler fu anche perché i loro bisogni quotidiani furono soddisfatti e perché credevano che, obbedendo al regime, avrebbero potuto riconquistare la dignità che spettava alla Germania.

      Nazismo come anomalia e come manifestazione del potere di un genio del male, di una maschera diabolica, di un grottesco ometto con la bava alla bocca e della sua cricca di depravati.
      Anche molte analisi approfondite, e non propagandistiche, della storia tedesca del periodo hanno sostanzialmente avallato questa interpretazione diabolica e psicologica del periodo nazista – certo, con molti suggestivi argomenti e con l’aiuto del comportamento di numerosi singoli personaggi, e per l’appoggio dell’iconografia gotica del regime, e non da ultimo per l’enormità stessa di certi crimini.
       Ma il nazismo non fu follia. L’Olocausto non fu follia, né opera di un satana che si aggira nella storia degli uomini e di tanto in tanto riesce a fare capolino.
       Il nazismo fu politica, una lucida e circostanziata politica, che si pose in continuità con quella precedente e che prefigura in modo drammatico quella successiva.
       Le parole citate in apertura furono pronunciate da Adolf Hitler, nel parlamento tedesco, nel marzo del 1935.
       A quelle parole se ne possono aggiungere altre, tra le quali i tanti discorsi che precedettero e accompagnarono l’Anschluss e portarono a Monaco e ai suoi esiti: nessuno di quei discorsi è il discorso di un pazzo, ma anzi di un politico accorto, furbo, che sa calcolare bene i punti deboli dei suoi interlocutori e sa porgere il pretesto che essi possono cogliere per far finta di non capire quale sia la reale situazione.
       Un uomo, in ogni caso, che non poté realizzare ciò che realizzò in termini di riarmo e di riorganizzazione sociale senza l’opera determinante della classe media tedesca, della burocrazia statale, della tecnocrazia industriale: complici – forse interamente consapevoli, forse agnostici o perfino ingenui – ma certamente neanche loro erano pazzi.
      Piantato sul palco a gambe larghe in posa statuaria, le mani sui fianchi, gli occhi spiritati che scandagliano la folla, la mascella all'infuori e le labbra turgidamente protese, Mussolini arringa con fiero cipiglio gli italiani con voce stentorea e frasi secche come scudisciate.
      Eppure Benito Mussolini, anche con le recite da grottesco avanspettacolo e le pose gladiatorie che oggi fanno ridere, é rimasto saldamente al potere per un ventennio; é stato amato, adorato, idolatrato. Il Duce infatti non era solamente un leader politico, ma quasi il dio di una religione pagana. Che cosa poteva la ragione contro la fede? Che cosa poteva il dubbio di fronte alla "verità assoluta"? Il Duce era, nella mentalità degli italiani, il protagonista di un'avventura che sembrava promettere un grande e luminoso futuro. Anche se quel futuro era costato qualche testa rotta, la figura provvidenziale del Duce si stagliava in tutta la sua grandezza. Mussolini comprese che, nella sua epoca, le folle, come scrisse Le Bon, rappresentavano per la prima volta un'immensa potenza.
       Stalin è solo un bruto, un contadino furbo, una belva istintiva e possente, di gran lunga il più potente, questo è vero, di tutti i dittatori.
       Lo pseudonimo Stalin, il cui significato è uomo d’acciaio, già di per sé indica che si tratta di un soggetto dotato di forte temperamento e notevole prestanza fisica: il cipiglio fiero, i baffi spioventi ed il sorriso spavaldo, accomunati ad una corporatura possente, ricordano una belva massiccia, che si getta a capofitto nella mischia per uscirne, ancora una volta, vincitore.
      La mania di eccellenza contraddistingue questo personaggio: a differenza ad esempio di Hitler, che si identificava con la nazione tedesca, Stalin desidera che il suo paese prosperi perché da questo dipende la sua fama, il suo benessere, la sua soddisfazione personale; finché la sua sete di potere non sarà soddisfatta, non riuscirà ad occuparsi realmente del benessere del suo popolo. Posa decisa, sguardo cruento e discorsi persuasivi pronunciati con voce tonante: queste le armi che Stalin usa per ottenere il favore del suo popolo, che lo appoggia, nonostante molti sappiano cosa realmente è accaduto in quegli anni.
      Perché un popolo che negli ultimi anni è stato soggiogato da un prevaricatore del calibro di Stalin ora ne piange la morte con tanto cordoglio?
      Ciò che contraddistingue le masse é il desiderio inconscio alla sottomissione e il bisogno di essere guidate da un capo. La folla non possiede idee proprie in quanto gli uomini riuniti in essa perdono la loro individualità e la loro personalità cosciente: ciò determina un affievolimento delle capacità critiche, mentre si sviluppa un forte senso d'appartenenza a una identità collettiva. Di conseguenza la massa tende ad assimilare idee già fatte, specie se esse hanno una forte componente ideale e una carica di profonda suggestione: la massa é, per sua natura, dominata dall'inconscio e dall'impulsività. Ogni popolo che si consegna ad un dittatore dimostra scarsa attitudine al pensiero, alla ragione, e dunque al libero confronto.
      Le Bon delinea anche le caratteristiche del capo: dev'essere innanzitutto un uomo d'azione e non di pensiero, perché la riflessione tende al dubbio e quindi all'inazione. Dev'essere dotato di grande volontà e sorretto da un'ideale o da una fede incrollabile: questo esercita sulle masse una grande forza di attrazione e coinvolgimento. Idee semplici, affermazioni concise, proclamate ripetutamente, sono i principali strumenti di persuasione che si basano sulla facilità di assimilazione. Le idee semplici favoriscono la loro diffusione per "contagio". Affermazione, ripetizione e contagio sono gli elementi che contribuiscono a dar loro credibilità e prestigio.
       Il prestigio é anche la molla più forte di ogni potere. Il prestigio personale di un capo esercita un fascino magnetico e determina nello stesso tempo un'autorevolezza che non si presta a contestazioni. Ciò che distingue il "bravo dittatore", è la capacità di immedesimarsi nel suo popolo, di assecondarlo nei suoi bisogni e di stimolarlo nei suoi desideri.




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